domenica 16 giugno 2019

SCHLUSS



SCHLUSS

Un bivacco alpino fa parte di uno stile. Di un tipo di stile di vivere le montagne.
E' una stazione intermedia sempre aperta che ti permette di riprendere fiato per continuare la salita, dormire, o di ripararti temporaneamente dal meteo
infame. S'intenda che il bivacco non è necessario alla montagna, ci sono mille altri stili per salire/attraversare/sopravvivere in montagna,  ma fa parte dello stile che prevede
che nel fare una traversata di più giorni in montagna senza doversi accampare con la tenda tu ti butti a dormire e a ristorarti in un bivacco, stile derivato dai pastori nomadi che da
millenni attraversano con le loro greggi le montagne del mondo e che col tempo hanno predisposto ripari fissi in luoghi strategici, è una comodità aggiuntiva, un luogo sempre
aperto a tutti da rispettare per la sua funzione logistica e a volte vitale. E' uno stile che prevede il bivacco come campo base di più giorni per salire le cime vicine.
I bivacchi non vengono messi a caso. Sì incontrano sui crocevia, se possibile vicini a fonti d'acqua, ben visibili, nei passaggi chiave sotto ad una cresta,
lontani dai luoghi dove la montagna scarica detriti o valanghe, muniti del minimo vitale per non dovere tornare a valle, per non dover rinunciare alla libertà data dalla montagna. 
E poi c'è un bivacco alpino portato a Venezia, città crocevia di mercati internazionali di un'epoca ormai andata, città di mitiche biennali d'arte,città di mare,
città dei caffè a 10 Euro e allo stesso tempo luogo stravolto dal turismo di massa, luogo dove l'hastag "enjoy respect Venezia" è diventato un brand lanciato dal comune oltre
che ad un tentativo di salvarla ma allo stesso una grossa nave da crociera che attraversa il Canale ne svuota il significato potente che assumeva.
Venezia non dorme, avrà bisogno di soste? Avrà bisogno di uno stile particolare derivante dalla montagna per ripensare il suo rapporto uomo-città/uomo-mare?
Eradicato dal suo contesto montano il bivacco diviene a Venezia rifugio per artisti, o meglio, per opere di artisti Sud-Tirolesi che hanno
eletto, con una felice intuizione, il bivacco a simbolo transfrontaliero di pace, a cento anni dal patto di Saint-Germain che decise che sulla carta, i Sud-Tirolesi, e non solo loro,
non sarebbero più stati Tirolesi. "...rifugio sempre aperto, come luogo d'incontro, di interazione, di contaminazione culturale...", tutte parole
vere, nei bivacchi si fanno spesso meravigliosi incontri inaspettati, con gente di mezzo mondo che come te condivide la passione per la montagna "vera",
quella che puzza di sudore.
Ma in questo caso si condivide arte, non' c'è solo contenitore ma anche uno speciale contenuto, un vero lusso per un bivacco, ed è venuto da lassù.
Ma come si sposa questo angusto luogo di felicità temporanea, d'interazione altra, con un contesto nuovo? Con le regole della città? Come si confronta un microcosmo che ospita
abitualmente un turismo di nicchia  attento a ciò che lo circonda con un macrocosmo che ospita un turismo di massa spesso poco attento al tutto?
Riuscirà a trascendere la sua funzione di rifugio per montanari e divenire altro? Diventerà solo un contenitore d'arte?
E sotto quali nuove forme? Riuscirà la montagna ad incontrare la città? Riuscirà la montagna a cambiare i dettami della città o sarà un nuovo scontro?
Un nuovo diaframma? Una nuova censura? Il progetto sull'isola Veneziana di San Servolo sarà il nuovo Saint-Germain dell'arte sudtirolese?
Un' anschluss ad uno stile diverso, a regole diverse? 






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